Talenti molfettesi nel mondo. Marco Piccininni ricercatore e biostatistico. Le parole del Sindaco Minervini
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«Sono orgoglioso di parlare di Marco Piccininni, giovane ricercatore che ha all’attivo la pubblicazione di più di 30 articoli accademici su riviste scientifiche ed ha partecipato a numerosi progetti di ricerca di respiro internazionale, talento ed eccellenza molfettese che, insieme ad altre giovani eccellenze di Molfetta, sfata il mito per cui i giovani non hanno le competenze intellettuali e scientifiche». Così il Sindaco di Molfetta Tommaso Minervini.
Marco Piccininni, classe 1992, è ricercatore presso l’Istituto di Public Health dell’ospedale universitario Charité di Berlino dove lavora come biostatistico.
Ha conseguito il Dottorato in Health Data Sciences, a settembre 2021, dallo stesso anno collabora anche con il centro di ricerca sull’ictus dello stesso ospedale; la sua ricerca riguardante la misurazione dell’effetto della speciale ambulanza Mobile Stroke Unit per la cura dei pazienti affetti da ictus ha vinto il premio di “Articolo dell’anno 2022” del dipartimento.
Questo è solo l’ultimo dei lavori di Marco che, nonostante si occupi prevalentemente di epidemiologia di malattie neurologiche, ha condotto alcune ricerche anche sul Covid-19.
Nel 2020 è stato autore del primo studio pubblicato su una rivista scientifica che ha descritto gli effetti della pandemia sulla mortalità nella città di Nembro. Ancora nel 2021 ha preso parte ad uno dei primi studi che indagano gli effetti collaterali neurologici del vaccino AstraZeneca in Germania.
«Auspico – continua il Primo cittadino - che i nostri ragazzi e le nostre ragazze possano seguire l’esempio di Marco perché incarna l’applicazione che nella vita ripaga. E mi auguro infine che prima o poi anche l’Italia diventi un Paese per eccellenze così da far in modo che tanti talenti possano aiutare sempre più l’Umanità» conclude.
Alleghiamo al comunicato le considerazioni di Marco Piccininni sulle prospettive della ricerca nel campo della biostatistica e dell’epidemiologia di malattie neurologiche.
Alzheimer
Le malattie neurodegenerative rappresentano un’importante sfida per il futuro. Il Global Burden of Disease ha stimato che, nel 2019, quasi un milione quattrocento mila persone affette da demenza vivevano in Italia, contro i soli 650 mila casi di malattia presenti nel 1990. Questo drammatico aumento dei casi di demenza è principalmente dovuto a un generale invecchiamento della popolazione cui stiamo assistendo. L’Italia infatti è uno dei paesi con la più alta speranza di vita al mondo ed è il secondo paese al mondo per percentuale di individui sopra i 65 anni. Secondo il Global Burden of Disease, l’Alzheimer e le altre forme di demenza sono stati la seconda causa di morte in Italia nel 2019. L’impatto delle demenze sulla società e sul benessere della popolazione sembra quindi destinato ad aumentare di pari passo con l’aumento della speranza di vita, tuttavia alcuni studi clinici randomizzati negli ultimi anni sembrano dare speranza per quanto riguarda la scoperta di terapie per contrastare il declino cognitivo.
Due anni fa, la Food and Drug Administration, l'ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ha approvato l’utilizzo negli Stati Uniti di Aducanumab, un farmaco per il trattamento dell‘Alzheimer. Aducanumab è un anticorpo monoclonale che si lega alle placche di betamiloide a livello cerebrale (tipiche della malattia di Alzheimer), ed è stato il primo farmaco approvato per il trattamento dell’Alzheimer che si propone di intervenire sul meccanismo patofisiologico. L’approvazione di Aducanumab è stata oggetto di numerose controversie, ma a gennaio di quest’anno, un altro anticorpo monoclonale, Lecanemab, è stato approvato negli Stati Uniti per il trattamento dell’Alzheimer sulla base di promettenti risultati ottenuti negli studi clinici. È ancora presto per capire se questi due farmaci riusciranno effettivamente a dare risultati tangibili nel contrasto dell’Alzheimer, ma è importante sottolineare che entrambi i farmaci sono stati approvati per il trattamento di pazienti con lieve decino cognitivo e nelle fasi iniziali della malattia.
Dal momento che le terapie a disposizione riguardano esclusivamente le fasi iniziali della malattia, la ricerca oggi si concentra anche molto sullo sviluppo di test, accurati e di facile somministrazione, che siano in grado di identificare questa condizione il prima possibile. Questa è un’area della ricerca in cui sono attivamente impegnato: ho collaborato alla validazione di test psicometrici e di biomarcatori per individuare deficit cognitivi. Più recentemente ho condotto delle ricerche su quale sia il modo migliore di utilizzare informazioni quali età, scolarità e risultati di un test neuropsicologico di screening per determinare se un individuo è affetto da declino cognitivo o meno.
Demenza Frontotemporale
Con l’espressione “demenza frontotemporale” si intende uno spettro eterogeneo di condizioni caratterizzate da processi neurodegenerativi dei lobi frontali e temporali. Questa demenza è stata recentemente al centro dell’attenzione mediatica dopo che la famiglia di Bruce Willis ha comunicato a febbraio che il noto attore statunitense è affetto da questa patologia. Per meglio comprendere la demenza frontotemporale è importante condurre studi a livello di popolazione per studiarne la frequenza, i fenotipi clinici e le differenze geografiche in termini di incidenza. Esattamente con questo obiettivo è nato nel 2020 il network internazionale FRONTIERS (Frontotemporal Dementia Incidence European Research Study), i cui principali promotori sono stati il professor Giancarlo Logroscino dell’Università di Bari e la professoressa Barbara Borroni dell’Università di Brescia. Io ho avuto il piacere di collaborare a questo ambizioso progetto che ha raccolto i dati da 13 centri specializzati in 9 paesi diversi, per stimare l’incidenza della demenza frontotemporale in Europa. Questo studio rappresenta il primo passo per scoprire qual è la frequenza e quali le caratteristiche cliniche di questa patologia che ha importanti conseguenze per le persone che ne sono affette.
Ictus
Un’altra malattia neurologica che ha un grande impatto sulla società è l’ictus. Secondo i dati del Global Burden of Disease 2019, l’ictus ischemico è la seconda causa di morte nel mondo e la terza causa di morte in Italia. Esistono delle possibilità terapeutiche per questa patologia, tuttavia, perché sia possibile ridurre la disabilità e la probabilità di morte, è essenziale che la terapia venga somministrata entro poche ore dall’esordio dei sintomi. Il tempo è infatti un fattore cruciale nella gestione dell’ictus ischemico, tanto che il motto “time is brain” (“il tempo è cervello”) è spesso utilizzato per sintetizzare l’importanza di un intervento tempestivo per ridurre i danni cerebrali. Diventerà sempre più importante identificare immediatamente i sintomi dell’ictus e ridurre al minimo i tempi di intervento nel futuro. Per questo motivo, sono state realizzate le “Mobile Stroke Unit”, delle speciali ambulanze al cui interno è possibile effettuare tomografie computerizzate per la diagnosi dell’ictus ischemico in modo da iniziare se necessario, già all’interno della stessa ambulanza, il trattamento trombolitico. Io ho collaborato come biostatistico allo studio B_PROUD (Berlin PRehospital Or Usual Delivery of Acute Stroke Care; PI dello studio: Prof. Heinrich J. Audebert) che ha mostrato che, nel territorio di Berlino, l’uso delle Mobile Stroke Unit ha avuto un effetto positivo sul grado di disabilità delle persone che sono state colpite da un ictus.
Metodologia
Viviamo in un momento storico in cui grandi quantità di dati vengono immagazzinati ed analizzati continuamente. La pandemia di Covid-19 ci ha mostrato quanto sia essenziale, per l’epidemiologia, raccogliere dati di qualità e analizzarli in modo corretto. La pandemia ci ha anche mostrato che i trial clinici randomizzati hanno delle importanti limitazioni e non sono in grado di rispondere a tutte le domande dei ricercatori. Dalla fine degli anni 80, grazie al contributo di importanti ricercatori come Judea Pearl, professore Università della California - Los Angeles, vincitore del premio Turing nel 2011, e di James M. Robins, epidemiologo di fama mondiale e professore all’Università di Harvard, l’epidemiologia e la medicina sono state travolte da quella che molti chiamano “causal revolution”. Negli ultimi 40 anni, infatti, è stata messa a punto una innovativa teoria che formalizza la definizione di relazione causa-effetto e rende possibile studiare le relazioni causali in studi osservazionali riportando in maniera trasparente le proprie assunzioni, rivoluzionando il modo in cui la ricerca medica viene oggi condotta. È facile quindi immaginare che questo lento processo di trasformazione metodologica continuerà nei prossimi anni e porterà ad una migliore qualità delle analisi statistiche e ad un più alto livello del dibattito scientifico.